“ I Know not what tomorrow will bring”

I Know not what tomorrow will bring”

I Know not what tomorrow will bring”, l’ultima frase di Fernando Pessoa, alias

Fernando António Nogueira Pessoa, venuto a mancare alla giovane età di 47 anni, in silenzio (in quanto non era ancora un poeta famoso).

Pessoa, consideraro il più grande poeta portoghese moderno, nacque a Lisbona, in Portogallo, nel 1888, ma a causa di situazioni familiari, si ritrovò a studiare in Africa, allora, colonia inglese, dove frequentò scuole britanniche.

In queste ultime, imparò l’inglese, talmente bene, da utilizzarlo nelle sue poesie; infatti, la sua prima collezione di poesie “Antinous” fu redatta in lingua britannica.

La lingua inglese, insieme a quella francese, gli consentirono di ritornare nel suo Paese natale e lo aiutarono a trovare lavoro come interprete per alcune ditte.

In Portogallo, parliamo dei primi decenni del ‘900, era intenzionato a studiare filosofia, ma abbandonò ben presto gli studi. Nel frattempo, e dato il suo amore per la letteratura, appreso, anche, dalla nonna, iniziò a scrivere articoli e lettere per le riviste letterarie del tempo.

Josè Saramago, ritenendo Pessoa, uno dei migliori poeti mai esistiti, affermò:

Fernando Pessoa non riuscì mai a essere davvero sicuro di chi fosse, ma grazie al suo dubbio possiamo riuscire a sapere un po’ di più chi siamo noi “.

Affermazione, dovuta al suo modo profondo di raccontare l’essenza, la pochezza l’insoddisfazione della condizione umana e anche l’ipocrisia delle convenzioni sociali.

Pessoa, era un poeta inquieto, forse per i lutti avuti da bambino ( prima il padre, poi il fratello), sempre alla ricerca di se’ stesso; infatti , una delle sue poesie, inizia così: “Non so chi sono, che anima ho……..” Un ‘altra ancora: “Non ho niente, non sono niente, ma……………”Oppure: “No, non credo in me………….”

Condusse una vita in solitudine, perché riteneva che la vita vera fosse la letteratura ( “ La letteratura, come l’arte, è la confessione che la vita non basta”).

La sua vita erano i poeti, i letterati, i sogni, non la dura realtà……”E’ meglio scrivere, che osare vivere”, così affermava Pessoa.

Il filo conduttore delle opere di Pessoa, forse a causa delle sue insicurezze, turbolenze interiori, è l’eteronimia, ossia l’abitudine di creare dei personaggi diversi da sé, con caratteristiche fisiche, mentali, culture diverse e che addirittura dialogano tra di loro. Pessoa, tende così a “spersonalizzarsi”, mette negli altri, forse, ciò che lui voleva essere o che l’uomo è.

In questo è paragonabile a Luigi Pirandello, scrittore italiano, che nella sua opera:”Uno, nessuno, centomila”, evidenzia come ciascuno di noi viene visto dagli altri, in maniera diversa da quello che è e come Pessoa, Pirandello scrive: “Di ciò che posso essere io per me, non solo non potete saper nulla voi, ma nulla neppure io stesso.»

Pirandello , al pari di Pessoa, afferma che per l’uomo, è impossibile conoscere il proprio “io”, se stesso. Entrambi, ritengono che la vita dell’uomo è confinata in vari stereotipi, come la famiglia, il lavoro, è oggetto del giudizio altrui, che diverso dalla identità personale.

Se non comprendiamo noi stessi, come possono, gli altri, comprenderci?Individuare la tua vera identità?

Come Edgar Allan Poe, uno dei primi autori inglesi che accompagnarono l’amore per le lettere, Fernando Pessoa, era dedito all’alcol ed entrambi, come si presume anche Giovanni Pascoli, poeta italiano, morirono di cirrosi epatica.

;”>Chissà se i tormenti della sua anima, sarebbero stati placati dal plauso, dalla standing – ovation espressa a Pessoa, quando purtroppo non c’era più!

Chissà, se sapendo di essere considerato uno dei maggiori poeti dell’età moderna, avrebbe trovato quella serenità, tanto ardentemente desiderata.

Pubblicità