Una madre coraggio
In un paese del Kenya, Owino Uhuru, vive una madre coraggio, ma esisteva anche una fonderia che raccoglieva manodopera locale, tra cui la madre coraggio e tanta altra gente che è stata intossicata dai veleni, emessi da fumi notturni e presenti nelle acque usate per cibarsi e lavarsi.
La madre coraggio, aveva un bambino che all’improvviso si è ammalato, era sempre febbricitante e in seguito alle analisi eseguite all’ospedale, si è scoperto che nel suo sangue vi era una quantità di piombo superiore ai limiti tollerati dall’organismo.
Le spese ospedaliere erano alte e la madre coraggio, chiese l’indennizzo alla fabbrica in cui lavorava. Quest’ultima, come si racconta, voleva comprarsi il silenzio della donna, la quale testarda e altruista, si licenziò ed iniziò ad indagare, a raccogliere testimonianze in zona. La madre coraggio, in questo modo, ha scoperto una brutta verità: animali morti, bambini con forti dolori allo stomaco, febbri, aborti.
La madre coraggio, con un team di consulenti del governo, ha convinto la gente del posto a farsi esaminare, sono stati analizzati i terreni, e si è scoperto che nel sangue di questa gente e nei terreni, vi erano grossi quantitativi di piombo.
La madre coraggio, che ha affrontato, ingiustamente anche un periodo in prigione e ha rischiato un rapimento, ha fondato una ong: il Centro per la Giustizia, la Governance e l’Azione Ambientale (CJGEA).
Grazie a lei e alla sua organizzazione, la fonderia ha chiuso i battenti nel 2014, anche perché sono intervenute le nazioni Unite.
I senatori del comitato per la salute, in Kenya, hanno successivamente provveduto alla bonifica della zona in cui operava la fonderia. La madre coraggio, affianca tale lavoro ed è riuscita a far nascere un procedimento giudiziario contro la fabbrica, che ha causato ingenti danni al territorio e all’uomo. La madre coraggio, lotta per assicurare alla propria terra e ai suoi abitanti un ambiente sano. Ed è per questo che nel 2015 le è stato assegnato il Goldman Environmental Prize, un premio assegnato annualmente a attivisti ambientalisti, uno da ciascuna delle sei regioni geografiche del mondo: Africa, Asia, Europa, Nord America e America centrale e meridionale.
Nei prossimi giorni, ci sarà la sentenza del tribunale, che dovrebbe prevedere un risarcimento di milioni di euro per le 3000 vittime avvelenate dal piombo della fabbrica e per dare giustizia a quel figlio che purtroppo non c’è più.